Cives: Aree gioiose e comunità di progetto

Nella giornata dell’8 giugno scorso, CIVES – Laboratorio di formazione al bene, ha tenuto una videoconferenza, nell’ambito del ciclo di iniziative “Cives in Dialogo”, sul tema: “Non chiamiamole aree interne. Quali strategie per rendere i territori più abitabili?”.

I lavori sono stati introdotti da Ettore Rossi, coordinatore di Cives. Vi hanno preso parte Giovanni Teneggi, responsabile nazionale di Confcooperative per la cooperazione di comunità; Roberto Costanzo, presidente della Fondazione “Mario Vetrone” e Fabio Renzi, segretario generale di Symbola, Fondazione per le Qualità Italiane.

“Siamo nella seconda fase della pandemia – ha introdotto Rossi – che ci porta a tante riflessioni che sembrano aprire a scenari interessanti per le aree interne e per i piccoli borghi, anche a causa del fatto che ci si è resi conto che le grandi agglomerazioni urbane generano problemi. Naturalmente viviamo questa fase in un’ottica di alleanza tra aree interne e aree costiere, il contrario non avrebbe alcun senso, anzi la visione “metromontana”, come la chiama qualcuno, va incentivata.

Un aspetto interessante, emerso di recente su questo tema, è l’ipotesi di creare centri di competenza per le aree interne che hanno bisogno di essere supportate da nuove idee e nuove progettazioni per poter assurgere a ruoli attrattivi”.

 

Il primo ad intervenire è stato Giovanni Teneggi che ha detto: “Sono molto legato al motto non chiamiamole aree interne che ho usato con particolare riferimento al tema dei giovani: ritengo, infatti, che solo lo sguardo di un giovane possa dare una nuova funzione alle aree interne.

Come si fa, infatti, ad attrarre un giovane in una area interna che, anche sotto il profilo lessicale, può sembrare poco interessante? Chiamiamole, perciò, aree gioiose.

Lo stato della pandemia ci ha dato alcuni spunti di lettura interessanti su questo tema, soprattutto se li leghiamo al tema della vita appenninica, interna: la prima suggestione è quella dei negozi di sopravvivenza durante la quarantena, piccoli centri di approvvigionamento ma anche piccoli centri di produzione di prima necessità nuovamente abitati e cercati.

Questa è un’immagine che dovremmo scolpire e tenere molto presente, perché ho già ascoltato molte persone che non vedevano l’ora di tornare al centro commerciale o comunque alla modalità abituale di acquisto. L’idea dei piccoli centri di acquisto va sostenuta anche immaginando di fare un passo avanti, non come clienti, ma anche come soci sotto forma di adesione partecipante. Si tratta di una vicinanza che diventa corresponsabilità che, a sua volta, diventa adesione.

Altro aspetto che mi ha colpito in questa pandemia è quello degli ospedali e delle strutture socio sanitarie che hanno tenuto in vita le nostre comunità. Sappiamo che le cose sono andate meglio dove c’era ancora una struttura sanitaria resiliente e comunità abitate da persone che sono in grado di tenere insieme capitale sociale, capitale umano e capitale tecnico. Questo vale anche per le cooperative di comunità: quelle più pronte sono proprio quelle che, in questo periodo di pandemia, hanno scoperto il valore di tenere insieme questi tipi di capitale.

La funzione di rispondenza di servizi pubblici è fondamentale e noi la stiamo perdendo e questo è avvilente soprattutto se pensiamo che c’è voluto un Covid per far dire alla Corte dei Conti che i piccoli ospedali sono una cosa buona e che c’è voluto lo stesso Covid per dire ai comuni dei territori che non erano passibili penalmente se investivano in questo aspetto della comunità. Era meglio se arrivavamo a questi risultati ascoltandoci nei dieci anni precedenti…”

 

Teneggi ha sottolineato alcune immagine significative emerse da questo periodo: “C’è l’immagine della montagna evocata da gente lontana anche con un dibattito che ha messo in luce in maniera importante la distanza culturale di conoscenza del tema: c’è bisogno invece di riprendere un nesso di conoscenza della montagna, creando nessi educativi utili anche per chi vive in città. L’altra immagine è quella della montagna invasa in questi giorni che segnala un buco di progetto che ha messo in chiara luce che non eravamo pronti e non avevamo elaborato un’offerta.

Ultima immagine, infine, sono i giovani del territorio che in tempo di cattività si sono messi a disposizione del territorio non solo aiutando con le braccia, ma anche mettendo a disposizione le loro competenze che immaginavano di poter utilizzare solo nei grandi centri nazionali e internazionali.

“Allestire territori oggi – ha concluso Teneggi – vuol dire comprendere il digitale con l’analogico, questa è un’immagine decisiva perché i territori dovranno essere più di prima luoghi di contaminazione. Se non sarà così i territori diventeranno luoghi della cattività più di prima”.

 

Fabio Renzi, intervenendo successivamente, ha orientato la sua riflessione partendo dal fatto che “questa crisi pandemica ha fatto riemergere il ruolo centrale della montagna, non solo come risposta alla domanda di natura, di ambiente, di biodiversità che sostiene il cambiamento economico, dall’economia circolare e dalla green economy, ma anche per l’inasprimento della crisi climatica. Questo aspetto ci dice che abbiamo bisogno di una nuova economia a misura d’uomo e la pandemia non ha fatto altro che rafforzare tutti gli elementi che erano già emersi con la crisi climatica: in tal senso le due crisi sono la faccia della stessa medaglia, legata alla insostenibilità del nostro modello economico.

Questa riflessione si sposa con il tema delle aree interne perché abbiamo pensato che questa sfida fosse legata solo alle città e ai grandi centri urbani, invece la pandemia ci ha permesso di comprendere che questa sfida si vince anche nei territori”.

“Il ritorno del territorio – ha continuato Renzi – ci dice quanto è importante la prossimità come dimensione che ci fa pensare a temi come quello della dispersione abitativa che può vedere coinvolti contemporaneamente le grandi aree urbane e le aree di montagna.

La vera sfida che abbiamo di fronte è quella dei territori abitati, rispetto ai quali non bastano le tecnicalità, ma c’è bisogno di costruire una comunità di progetto che faccia perno sulle comunità esistenti ma sapendo che queste non bastano più.

Senza il protagonismo di territori, di comunità e di istituzionali locali queste sfide non si vincono. Per fare questo è necessario una suggestione, una missione, un’identità. E l’identità più valida è quella di dire che questi territori, che non chiamiamo aree interne, sono la frontiera avanzata delle sfide dalla contemporaneità: a partire dalla sfida del cambiamento climatico e da una qualità della vita diversa che possono offrire, legata ad attività che servono a vincer la battaglia del cambiamento climatico.

“I territori italiani non sono remoti – ha concluso Renzi – e il rischio che corriamo è che siano territori frequentati ma non abitati.

Una visione nuova si può avere solo se, in un’ottica di interdipendenza tra aree rurali e aree metropolitane, si costruisce una proposta che faccia capire che questi territori non sono antagonisti con le città ma nemmeno in posizione di subordinazione. La comunità non nasce perché ci saranno più persone, ma nasce nella fucina del lavoro che dice cosa farà un certo territorio. Questo avverrà solo creando processi unitari dal basso”.

 

“Dobbiamo prendere atto del dato che l’Italia è uno dei paesi più montagnosi d’Europa” ha esordito Roberto Costanzo.

“Le Alpi, gli Appennini  e le alture rappresentano circa l’80% del territorio ma oggi, rispetto a mille anni fa, sulla collina vive meno del 20% della popolazione.

Quello che abbiamo vissuto nei mesi di pandemia può farci capire che concentrare in questa maniera le attività produttive su una fetta di territorio così ristretta non può funzionare, agevolando peraltro la crescita e diffusione della pandemia. Prevedo che noi prossimi anni ci sarà uno spostamento di abitazioni dalla pianura all’altura.

Tra aree interne e aree di pianura e di costa, in questi ultimi trent’anni, c’è stato un distacco terribile e non tutti ci rendiamo conto che il problema non si risolve con soli atti di solidarietà perché quest’ultima funziona se, tra aree geografiche, c’è anche la cointeressenza, cioè se c’è una sorta di interdipendenza e interazione: la pianura e la costa dipendono da colline e montagne perché l’agibilità idrogeologica esiste finché a monte esistono fiumi e torrenti che vanno gestiti correttamente e, proprio perché a monte questo lavoro non viene fatto in maniera sistematica, capitano disastri vari. Questi interventi sistematici devono assumere la forma di industria del territorio comprendendo i fondamentali lavori di sistemazione idraulico forestale che se  vengono fatti in maniera sistematica ci consentirebbero di spendere meno, di  dare al territorio una migliore agibilità e di creare posti di lavoro stabili”.

“Penso anche – ha sottolineato Costanzo – alle tante risorse che dà la montagna alla valle: l’acqua, ad esempio, ma anche le energie rinnovabili come il vento che rappresenta un’energia di cui il paese non può fare a meno ma che purtroppo viene estratta e sottratta alle aree di montagna. Quando invece dovremmo promuovere politiche che lascino una parte di quella energia sul territorio.

La collina e la montagna non hanno bisogno di aiuto e assistenza ma solo di riconoscimento delle proprie risorse e di trovare il modo di non farsi sottrarre le risorse ma contrattarle con gli altri”.

“Questa pandemia – ha concluso Costanzo – ci sta facendo capire che negli ultimi 50 anni, con l’economia industriale, abbiamo pensato di considerare il territorio come qualcosa da sfruttare e non da rispettare. In questo senso la pandemia può servire a far riequilibrare  il modo di vedere e di utilizzare le risorse del territorio, provando a ridare equilibrio anche alle aree della Campania che oggi vedono ben 5 milioni di abitanti nelle aree costiere e solo 800 mila abitanti nelle aree di collina e montagna”.

È seguito un ricco dibattito tra i diversi partecipanti tra cui il sindaco di Pontelandolfo, Gianfranco Rinaldi e il sindaco di Campolattaro, Pasquale Narciso.