S. Messa crismale: omelia di mons. Felice Accrocca

Carissimi,
provo una “grande gioia nel Signore” (Fil 4,10), nel ritrovarci insieme, stasera, in questa celebrazione che apre una fase nuova della nostra vita ecclesiale e sociale. La bufera terribile che ci ha attraversati e dalla quale non siamo ancora del tutto usciti, non ci ha piegati; al tempo stesso, Dio ci chiede di trarre il bene anche dal male. Non possiamo, questa sera, fare a meno di pensare ai tanti morti che la pandemia ha causato e, in special modo, ai sacerdoti vittime del contagio: un ricordo tutto particolare, questa sera, va a monsignor Andrea Mugione e a don Luigi Caturano. Neppure dobbiamo dimenticare come proprio questo tempo ci abbia fatto riscoprire la forza vitale della Chiesa domestica: dovremo tenerne conto, in futuro, nella nostra azione pastorale.
La Parola reca oggi un messaggio di speranza, viene a “fasciare le piaghe dei cuori spezzati”, a “consolare tutti gli afflitti”, a darci “olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto” (Is 61,1.2.3). Ne abbiamo bisogno! Se in questi mesi siamo stati tentati di cedere allo scoramento, il Qoèlet ci corregge con dolcezza, ma senza equivoci: “Non dire: «Come mai i tempi antichi erano migliori del presente?», perché una domanda simile non è ispirata a saggezza” (7,10). Gli fa eco il grande Agostino: “«Sono tempi cattivi, tempi penosi!», si dice. Ma cerchiamo di vivere bene e i tempi saranno buoni. I tempi siamo noi; come siamo noi così sono i tempi. […] il mondo lo rendono cattivo gli uomini cattivi” (Discorsi 80,8). La società è anche in mano nostra: siamo dunque noi a renderla peggiore o migliore con le scelte che compiamo quotidianamente!
Di certo, viviamo in un tempo complesso, il quale richiede notevoli capacità di lettura. Il Signore ci ammonisce: “Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?” (Lc 12,56). Dobbiamo quindi esercitare la profezia, essere cioè capaci d’interpretare il presente alla luce della Parola di Dio. Profeta, dice Gregorio Magno, non è chi legge il futuro, bensì chi sa svelare il presente nascosto, il piano divino che in esso si cela (Omelie su Ezechiele I, 1); dal proprio canto, Rabano Mauro ribadisce che uno degli aspetti qualificanti la profezia è svelare il senso profondo della Scrittura (Commento alla Prima lettera ai Corinzi XI, 12).
Dobbiamo volgerci, perciò, alla Parola di Dio, restituire ad essa la sua centralità nella vita della Chiesa. Nel commentare l’affermazione del Signore, il quale avrebbe ricondotto egli stesso le sue pecore sui monti d’Israele (Ez 24,13), Agostino esclama: “Egli [il Signore] ha formato i monti d’Israele, cioè gli autori delle Scritture divine. Lì andate a pascolare, se volete pascolare sicure. Ciò che udrete da quei monti formi il vostro gusto; ciò che vi viene da altre parti, respingetelo. Per non smarrirvi fra le nebbie, ascoltate la voce del pastore: raccoglietevi attorno ai monti che sono le sacre Scritture” (Discorsi 46,24). Meditandola, la Scrittura ci svelerà le sue ricchezze, crescerà con noi, poiché essa – assicura Gregorio – “cresce con coloro che la leggono” (Commento a Giobbe XX, 1) e coloro che la leggono crescono con essa nella fede, maturano nella fede, liberandola da inutili orpelli per tornare all’essenziale. Tuttavia è necessaria una grande umiltà, cioè la capacità di assumere l’animo del Maestro, mite e umile di cuore (Mt 11,29), perché l’intelligenza della Scrittura si nasconde ai superbi e si svela agli umili. La Scrittura sacra, dice infatti Agostino, “è fatta per crescere con i piccoli” (Confessioni III, 5, 9).
La Scrittura ci darà le chiavi per leggere la realtà ecclesiale e sociale; per comprendere il nostro tempo e questo nostro territorio, povero di popolazione e di risorse, che – facile previsione – vedrà aumentare il numero dei poveri. Del resto, coloro che hanno in mano le sorti dei popoli sembrano – ormai da parecchi anni – affrontare le questioni ponendo attenzione ai sondaggi più che alla storia, al consenso più che ai progetti, pronti a riaggiustare di volta in volta il tiro nel tentativo di tornare a guadagnare i punti di percentuale perduti o che si presume lo siano, giacché i sondaggi non sono certezze. Certo è che, posto il collo sotto il giogo del consenso, non resta spazio per una cultura del progetto, che al contrario richiede lungimiranza e apertura di mente, anche se solo un progetto chiaro può – sulla distanza – costruire un consenso stabile.

Eppure non dobbiamo lasciarci abbattere dalla rassegnazione, come se i giochi, ormai, fossero fatti e non restasse altra via che intestardirsi in una sorta di accanimento terapeutico con l’unico scopo di ritardare il più possibile la morte di questi nostri territori. Proprio la recente pandemia ha peraltro messo drammaticamente in luce le potenzialità delle aree interne rispetto ai grandi raggruppamenti urbani e alle aree metropolitane. Sono fiducioso, perciò, che l’attenzione e le parole di stima che – nell’udienza concessa agli educatori del seminario di Posillipo nel febbraio di quest’anno – il Presidente della Repubblica ha avuto per la lettera Mezzanotte del Mezzogiorno e l’iniziativa del Forum degli Amministratori non cadranno nel vuoto. “Intanto – come dice l’Apostolo –, dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo” (Fil 3,16).
La Parola di Dio, quindi, al centro del piano pastorale per i prossimi anni: essa ci darà la spinta necessaria per scelte che richiederanno non poco coraggio e forza. Faccio mia, a questo proposito, l’esortazione dantesca: “Avete il novo e ‘l vecchio Testamento, / e ‘l pastor della Chiesa che vi guida: / questo vi basti a vostro salvamento” (Paradiso V, 76-78). Al tempo stesso, bisognerà impegnarsi a ricostruire un solido tessuto di relazioni sociali in un tempo in cui la sicurezza che ci garantisce il mantenimento delle distanze rischia d’indurre a pensare che l’altro, ogni altro, possa costituire innanzitutto un potenziale pericolo.
“Io darò loro fedelmente il salario”, ci ha detto stasera il Signore per bocca del profeta (Is 61,8). Sì, il Signore ci benedirà nella misura in cui sapremo fidarci di Lui. Per questo ho bisogno dell’aiuto e della collaborazione di tutti, in primo luogo di voi, Confratelli sacerdoti: come vi scrivevo già, ho piena fiducia in voi, vi stimo e vi voglio bene, consapevole che nulla potrei senza di voi, cui sono legato da una comunione sacramentale. Dio ci sostenga e aiuti tutti noi a fare della nostra vita un dono per gli altri.

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Com’è tradizione, ricordo alcune situazioni particolari, che affido alla preghiera comune: oltre monsignor Andrea Mugione e don Luigi Caturano, il Signore ha chiamato a Sé il p. Marcello Lucarelli OFM; ricordo poi, anzitutto, i sacerdoti ordinati nell’anno 2019, don Luca Cennerazzo, don Cosimo Iadanza, don Fabio Maria Atorino GAM. Inoltre, in quest’anno 2020 celebrano il loro anniversario di ordinazione don Pino Mottola, don Gaetano Santo Giuliano e p. Sabino Iannuzzi OFM (25 anni), così pure don Ermanno Ruocchio (50 anni). Sono presenti anche i nostri seminaristi: riguardo a loro, posso annunciare, per ora, che il 14 giugno prossimo Donato Della Pietra e Francesco Tranfaglia verranno ammessi tra i candidati a ricevere l’Ordine sacro.