Lo Studio Teologico conclude la sua attività didattica e formativa

Il 23 ottobre u. sc. lo Studio Teologico “Madonna delle Grazie” di Benevento, con una seduta di baccellierato alla quale erano presenti dodici candidati, ha concluso la sua attività formativa e didattica; una istituzione che tanto ha contribuito alla formazione del clero diocesano, una scuola che da decenni ha formato presbiteri al servizio della Chiesa per testimoniare il mistero di Cristo, in piena comunione con il Magistero, in questa data ha sospeso il suo percorso. Nel corso della sua lunga storia lo Studio Teologico è stato affiliato alla Facoltà di Teologia della Pontificia Università “Antonianum” di Roma e sempre ha potuto contare su un ampio patrimonio di buone prassi che hanno trovato la ragione del loro successo nella professionalità, nella competenza e nella passione educativa dei docenti, i quali si sono sforzati di cogliere le occasioni di innovazione e di miglioramento e di mantenere vivi i contatti tra ricerca e pratica didattica, consapevoli che «una parte rilevante dell’efficacia formativa dipende dalla personalità matura e salda dei formatori» (Pastores dabo vobis, 66).

Lo Studio ha potuto valersi, inoltre, del sostegno degli arcivescovi che si sono succeduti sulla cattedra beneventana, ora occupata da S. Ecc. Mons. Felice Accrocca. Tutti loro hanno avuto stima e considerazione per l’impegnativo e delicato compito educativo dello Studio, non facendo mai mancare il loro incoraggiamento e la loro presenza. Il loro favore e la loro attiva partecipazione, poi, sono stati per tutti occasione di crescita e di confronto, mentre il loro “prendersi a cuore” lo Studio per il bene della diocesi e dei suoi futuri presbiteri, ha coinvolto tutti a fare insieme il cammino formativo, ciascuno con i propri bisogni, le proprie aspettative, le proprie competenze e responsabilità, il proprio ruolo.

Purtroppo, varie congiunture non consentono oggi allo Studio di continuare a svolgere il ruolo che ricoperto negli anni; innanzitutto per la crisi delle vocazioni che aveva già portato a chiudere il Seminario. Un’emorragia che interessa ovviamente tutta la Chiesa, non solo la diocesi beneventana, ed è frutto avvelenato della cultura del provvisorio, del relativismo e della dittatura del denaro, che allontanano i giovani dalla vita consacrata. Ed è davvero doloroso vedere la regione sannita, che è stata per lunghi secoli feconda e generosa nel donare missionari, suore, sacerdoti pieni di zelo apostolico, entrare in una sterilità vocazionale per la quale è difficilissimo trovare rimedi potenti.

Certo, il tema della vocazione e del suo discernimento nel mondo giovanile sono ben presenti e sentiti nella Chiesa beneventana; il rarefarsi numerico di chi inizia a percorrere il cammino di sequela del Signore è infatti un sintomo testimoniato da decenni. Però oggi la situazione è diventata difficile per tutta la vita religiosa beneventana, compresa la vita presbiterale; dobbiamo confidare, dunque, che si riesca a delineare strade di fecondità dal grembo della comunità cristiana di Benevento.

A Mons. Accrocca, in primis, spetta il difficile compito di valutare se quella che chiamiamo crisi di vocazioni è veramente tale, oppure è una crisi della fede, della fede-fiducia che si è fatta debole anche nella comunità cristiana beneventana e che si manifesta come mancanza di fede nella vita, nel futuro, in ciò che potremmo essere chiamati a vivere e a realizzare. Egli conosce bene i limiti di una superficiale “pastorale vocazionale”. Se manca la presenza concreta e quotidiana di chi può accendere il fuoco nel cuore dei giovani, se non c’è l’audacia di fare segno, se le indicazioni riguardano soltanto un impegno – pur buono, caritatevole, generoso – mentre non si favorisce la vita interiore, allora è una pastorale che assorbe tante forze ma resta infeconda.

Dunque, nel giorno in cui si concludono le attività accademiche dello Studio, nell’intimo si alternano timori e speranze, dubbi e incertezze; si fa sempre fatica ad accettare l’esperienza esistenziale della transitorietà e della precarietà dei fatti umani, dell’essere transeunte che invece fa parte del nostro destino individuale. Eppure, con il poeta (Khalil Gibran) dovremmo ricordarci che «per noi, viandanti eternamente alla ricerca della via più solitaria, non inizia il giorno dove un altro giorno finisce, e nessuna aurora ci trova dove ci ha lasciato al tramonto. Anche quando dorme la terra, noi procediamo nel viaggio. Siamo i semi della tenace pianta, ed è nella nostra maturità e pienezza di cuore che veniamo consegnati al vento e dispersi».

 

Prefetto degli Studi

Prof. Giovanni Liccardo