Omelia per l’ordinazione episcopale di Padre Sabino Iannuzzi OFM

«Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!» (Rm 7,25). Carissimi, l’evento di cui siamo partecipi e il luogo che ci vede riuniti ci aiutano a comprendere come la Parola proclamata si faccia memoria. Il luogo non è dissimile dai molti incrociati da Paolo e Barnaba nel corso dei loro viaggi apostolici; l’evento è in continuità diretta con quella storia di grazia che vide i due apostoli designare in ogni Chiesa, sotto la guida dello Spirito, alcuni anziani (At 14,23) posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio (At 20,28).

Oggi padre Sabino assume il ministero apostolico e dal Signore riceve il comando di “amare di più”, perché dall’intensità del suo amore la Chiesa di Castellaneta, a lui unita con patto nuziale, progredisca nell’annuncio del Vangelo e nella testimonianza della fede: annuncio e testimonianza davvero efficaci solo se sostenuti da autentica comunione, poiché da questo il mondo saprà se davvero siamo discepoli del Cristo, se avremo cioè amore gli uni per gli altri (Gv 13,35).

Mi permetto, caro Sabino, d’indicarti un percorso possibile, non l’unico certo, ma quello che ritengo più idoneo a svolgere il tuo ministero pastorale. Lo racchiudo in un triplice impegno. Anzitutto, insegnare con la vita, affinché la tua esistenza sia monito autorevole per quanti ti sono stati affidati. «La tua vita – così scrisse Niccolò I all’arcivescovo di Salisburgo – sia la norma per i tuoi figli» (Epistola 3: PL 119,772). E come non ricordare l’insegnamento del tuo fondatore e padre? Narra infatti Tommaso da Celano, che mentre Francesco dimorava presso Siena capitò da lui un frate dell’Ordine dei Predicatori, il quale l’interrogò «su quel detto di Ezechiele: Se non avrai annunciato all’empio la sua empietà, domanderò conto a te della sua anima» (Ez 3,18). Poiché Francesco esitava a rispondere, quello insistette umilmente vincendone alfine la resistenza: «Se la frase va presa in senso generico – rispose –, io la intendo così: Il servo di Dio deve avere in se stesso tale ardore di santità di vita, da rimproverare tutti gli empi con la luce dell’esempio e l’eloquenza della sua condotta. Così, ripeto, lo splendore della sua vita e il buon odore della sua fama renderanno manifesta a tutti la loro iniquità» (2Cel 103: FF 690). Il gregge non sbaglia: riconosce la voce del pastore vero (Gv 10,4) e diffida istintivamente di coloro che «combattono con i loro costumi ciò che predicano con le loro parole» (Gregorio Magno, La regola pastorale I, 2).

Cerca, poi, di guardare oltre: «Fermatevi nelle strade e guardate – dice il profeta –, informatevi dei sentieri del passato, dove sta la strada buona percorretela, così troverete pace per la vostra vita» (Ger 6,16). Al vescovo è infatti richiesto di vedere prima e più lontano degli altri la strada buona da percorrere; commentando la Parola «Si offuschino i loro occhi e più non vedano» (Sal 69,24), san Gregorio afferma: «Gli occhi sono chiaramente coloro che, posti innanzi a tutti al grado sommo della dignità, hanno assunto il compito di fare da guide nel cammino» (La regola pastorale I, 1).

Non si tratta, tuttavia, di un compito agevole, perché l’esigenza – che ti troverai spesso ad affrontare – di cercare vie nuove, comporta anche la necessità di abbandonare vecchie sicurezze che tutti, ormai, riconoscono inadeguate, ma dalle quali pochi sono disposti a distaccarsi a causa delle incognite imposte dalle novità, per la fatica del cambiamento, per il timore di perdere privilegi acquisiti e per tanto altro ancora che nulla ha che fare con le logiche del Regno, ma che alla crescita del Regno arreca serio danno. Vedere lontano, più lontano degli altri, ti costringerà – non poche volte, caro Sabino – a sperimentare quella solitudine che Dio chiede ai suoi amici.

Cerca, infine, di vincere tutto e tutti con l’amore, per educare a un Dio che è Amore (1Gv 4,10). Nell’amore non c’è timore, poiché l’amore perfetto scaccia ogni paura, mentre chi teme non è perfetto nell’amore (1Gv 4,18). I Padri d’Oriente e d’Occidente hanno messo in evidenza tale verità, troppe volte dimenticata. «Vedo tre disposizioni d’animo – insegna Basilio il Grande – di fronte all’assoluta necessità dell’obbedienza: o ci allontaniamo dal male per timore del castigo e ci troviamo allora nella disposizione d’animo propria degli schiavi, oppure, aspirando ai guadagni della ricompensa, osserviamo i comandamenti per il vantaggio che ne ricaviamo e siamo così simili ai mercenari, o ancora operiamo per il bene in se stesso e per amore di Colui che ci ha dato la legge, lieti di essere stati trovati degni di servire un Dio talmente glorioso e buono, e ci troviamo così nella disposizione d’animo dei figli» (Regole diffuse, Prologo). Tuttavia, pure questo ha un prezzo, perché richiederà da te la disponibilità a incassare senza batter ciglio, a non ribattere colpo su colpo, mostrando invece la tua disponibilità ad amare nonostante tutto, a mettere in pratica fino in fondo il Vangelo del perdono: qualora avessimo infatti davvero il coraggio di fidarci della parola del Maestro non vi sarebbero più vincitori e vinti, ma solo vincitori.

Insegnare con la vita, guardare lontano, vincere con l’amore. Potrai così mantenerti sulla giusta rotta, poiché non dobbiamo dimenticare che – come vescovi – siamo chiamati a esercitare «il magistero dell’umiltà» (Gregorio Magno, La regola pastorale I, 1). I segni che tra poco riceverai manifesteranno l’onere caduto sulle tue spalle. Cosa sta infatti a significare il pastorale se non la vigile cura del gregge, l’anello se non l’alleanza sponsale con la tua Chiesa, la mitra se non l’immagine della corona di gloria che riceverai un giorno per aver combattuto e vinto o – secondo un’interpretazione certo poco usuale, ma che a me non dispiace – l’espressione di una perfetta conoscenza dell’Antico e Nuovo Testamento (Erasmo da Rotterdam, Elogio della pazzia, § 57), necessaria per l’esercizio del suo magistero? Questa responsabilità «la regge bene chi sa tenerla in pugno e insieme combatterla; la regge bene chi sa, con essa, erigersi sopra le colpe, e con essa sa essere uguale agli altri» (Gregorio Magno, La regola pastorale II, 6).

Allora, con serena coscienza – tra le difficoltà che non mancheranno, i tentennamenti che sempre ci sono, le cadute che dobbiamo mettere in conto –, potrai guidare la tua sposa verso quel cielo nuovo e quella terra nuova che l’autore sacro intravvede, verso quella santa città che scende «dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2). Sarai forse spaventato di fronte alle difficoltà che un simile compito porta con sé: ricordo che io ne ero quasi paralizzato. Eppure, non sia turbato il tuo cuore e non aver timore (Gv 14,27): Dio si fida di te! Ricorda sempre le sapide parole, a te ben note, che a tutti ora lascio quale bussola per il cammino:

 

«Dove è carità e sapienza,

ivi non è timore né ignoranza.

Dove è pazienza e umiltà,

ivi non è ira né turbamento.

Dove è povertà con letizia,

ivi non è cupidigia né avarizia.

Dove è quiete e meditazione,

ivi non è affanno né dissipazione.

                Dove è il timore del Signore a custodire la sua casa,

ivi il nemico non può trovare via d’entrata.

Dove è misericordia e discrezione,

ivi non è superfluità né durezza» (Francesco d’Assisi, Am XXVII: FF 177). Amen.

 

Benevento, 14 maggio 2022