Certamente l’esperienza della cura può risignificare i nostri rapporti umani, e in modo – direi – qualificante, sia in positivo che in negativo. Se per cura intendiamo – e non può essere altrimenti – anche accoglienza, vicinanza, accompagnamento, allora capiamo subito che l’essere curati nella nostra umanità, cambia radicalmente le prospettive di vita. Al contrario, l’esperienza del rifiuto attiva un processo di chiusura non solo a livello affettivo-relazionale, ma anche clinico.
Come rompere il tabù della morte e recuperare una visione della stessa che ci apra alla vita?
Credo sia importante, a questo livello, porsi davanti alla morte con occhi di fede, ciò che può aiutarci a sentire la morte non più come inesorabile nemica, ma come compagna di viaggio, come parte della vita stessa. Francesco d’Assisi la chiamava “sorella”, perché è la “morte corporale” ad aprire a noi le porte dell’eternità. Vista sotto questa luce, la morte ci aiuterebbe anche a guardare alla vita in modo diverso, ad andare a ciò che è davvero essenziale.
A partire dalla tua esperienza di professionista e studioso, in che modo è possibile tenere insieme un’intelligente ricerca scientifica e una sana apertura alla fede?
Mantenendo anzitutto una grande umiltà, che viene dalla progressiva consapevolezza che le cose che non si conoscono sono molte più di quelle che si conoscono. La mèta ultima della ragione, poi, come diceva Pascal, è riconoscere che vi sono infinite cose che la superano: la ragione stessa, quindi, postula in qualche modo la fede. L’importante è che la ricerca sia seria, onesta, non mossa da alcun intento apologetico, mirante solo alla ricerca del vero, del bello, del buono.
Qual è la differenza tra professione e missione e come nella tua storia queste due dimensioni si sono intrecciate?
La professione è una scelta che compete a noi, a partire dalle nostre capacità personali e dalle, cosiddette, affinità elettive; la missione, invece, ci viene affidata da altri o, meglio, da Qualcun Altro, cioè da Dio, che agisce attraverso altri uomini. Nella mia storia queste due dimensioni si sono intrecciate in modo indissolubile, poiché per me progredire nella conoscenza ha significato corrispondere alla mia missione. Ho cercato, insomma, di tenere sempre insieme scienza e coscienza.
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